Sempre rimanendo nel “paradigma-Facebook”, che come ogni Social Network, è anche in qualche modo un “paradigma di condivisione”, la domanda successiva è: che cosa condivide l’adolescente-Narciso con gli “amici”? Questa domanda permette anche di capire perché questo passaggio è stato svolto qui e non nell’area del capitolo quarto che è interamente dedicato alla relazione. Infatti con i social friends l’adolescente va a condividere ciò che pubblica nel proprio “profilo”, gli indizi del proprio identikit.

Il “profilo” si compone di molti elementi, grazie ad una serie di applicazioni in continua evoluzione (il prossimo in arrivo è la Time line[1]). Tuttavia ci sono elementi di base che possiamo definire standard per ogni profilo. In questo senso si potrebbe parlare di Facebook come di un “habitat strutturato”, ma il concetto di “struttura” include in questo caso la realtà del “cambiamento”, della “trasformazione” e per questo si adatta perfettamente al trasformismo dell’adolescenza, “età della crisalide”[2].

In ogni profilo troviamo innanzitutto una fotografia. Avere un account (un indirizzo) Facebook e avere un profilo privo di foto (cosa per altro possibile) è quasi un controsenso, visto che letteralmente il nome della piattaforma significa “libro delle facce” remixato in gergo slang dagli adolescenti con “faccia-libro”. In questo “libro delle facce” l’immagine è uno strumento fondamentale di auto-rappresentazione e di “proiezione”[3].

«Rappresentazione e proiezione sono due termini che si riferiscono ad universi differenti e di cui la psicoanalisi ha tentato di stabilire la relazione. Il termine proiezione deriva dalla geometria ottica, quello di rappresentazione è un’eredità del vocabolario della filosofia classica. Laplanche e Pontalis (1967) nello stabilire le diverse accezioni del concetto di proiezione, notano che, nel senso più comune, essa designa l’operazione per mezzo della quale certi oggetti sono gettati in avanti: spostati all’esterno, passando dal centro alla periferia, o dal soggetto al mondo circostante. Il soggetto attribuisce e ritrova in altri caratteristiche che gli sono proprie, e in questo modo non percepisce del mondo e dei suoi oggetti che quel che lui stesso ha definito e costruito. è in questo senso generale che la nozione di proiezione giustifica l’uso delle tecniche proiettive»[4].

In questo senso il post-are, nell’ambito dei Social Network, esprime proprio questa dinamica “generale” di “proiezione”; questa dinamica è percepibile oltre che per l’identità, anche sul livello del “consumo”, come viene prospettato in un articolo dall’interessante titolo “We are what we post?” che analizza appunto il tema della self-presentation e dell’identità di sè offerta nei Personal Web Space[5].

[1] cf. «http://www.tissy.it/2011/09/timeline-di-facebook-come-abilitare-il-nuovo-profilo-in-anteprima/», (17.01.2012).

[2] cf. Pietro Lombardo (a cura di), Adolescenza: l’età della crisalide. Per capire gli adolescenti e aiutarli a crescere, Centro Studi Evolution, Verona 2007.

[3] cf. l’applicazione di Facebook The Museum of me che verrà presentata in allegato (Appendice A) e che per un’esposizione della storia del gestore del profilo utilizza in modo preponderante le immagini che sono state caricate sul profilo stesso dal soggetto o dai suoi social friends.

[4] Renè Kaes, L’apparato pluripsichico. Costruzioni del gruppo, Armando, Roma 1996, p. 22.

[5] Hope J. Schau – Mary C. Gilly, We Are What We Post? Self-Presentation in Personal Web Space, in “Journal of consumer research” 30 (2003) 385.