Introduzione
Fotografare gli alimenti ha primariamente lo scopo di produrre immagini attraenti del cibo con il fine di impiegarle per l’editing delle pubblicità, per il packaging, per le riviste; in generale per la divulgazione di un determinato prodotto su qualsiasi mezzo che implichi la pubblicizzazione e quindi la mercificazione.
E’ proprio per soddisfare le esigenze del mercato che è nata la figura del “food-stylist” (redattore del cibo) che ha il compito di rendere il cibo attraente per il set fotografico assicurandosi che rimanga tale anche nella foto finale. Tale figura professionale rende il cibo un mezzo di comunicazione da tutti fruibile e quindi diffusibile su larga scala.
Le immagini derivanti dal lavoro del food-stylist sono bidimensionali ma hanno un’attrattiva tipica del 3D; non rappresentano solo un alimento, traducono anche sensazioni olfattive e gustative.
Spesso il cibo utilizzato nei set fotografici non è commestibile, vengono aggiunte sostanze tossiche che migliorano la resa fotografica; se il lavoro è fatto bene però questo stratagemma rimane invisibile agli occhi degli ipotetici fruitori. Non si tratta di foto di reportage, bensì di una rappresentazione (narrazione) di una ricetta con il fine di mostrarla nelle sue migliori vesti.
Uno degli intenti principali è quello di stimolare i sensi del pubblico tra finzione e realtà, tra materie prime e materiali; un sembrare ma non essere, si tratta di plasmare la materia per farla sembrare ciò che il mercato dei consumatori si aspetta che sia, una sorta di sogno che diventa cibo.
E’ evidente quindi che lo scopo ultimo di questo processamento del cibo è convincere i fruitori delle merci: si mangia prima con gli occhi.
Aspetto storico/sociologico
La figura professionale del food-stylist è nata con l’avvento della moda per la cucina e con il conseguente spopolamento di riviste di ricette e la nascita dei foodblog.
Intorno agli anni 2000 con la crisi economica e la nascita del programma “La Prova del Cuoco” si comprese che il lavoro del nuovo millennio era uno qualunque inerente il contatto con il cibo; effettivamente tale linea di pensiero si rivelò essere vincente, al punto che oggi è importante essere food-qualcosa o gastro-qualcos’altro.
E’ così che sono nati i primi lavori a creare un alone di mistero e sensualità intorno al cibo.
Andando più indietro negli anni, ritornando al periodo a cavallo tra il 1960 e il 1970, si ritrova la figura di Delores Custer che da “home economist” divenne forse la prima “food-styilist” al mondo; passò dalle illustrazioni del cibo alle fotografie che oggi conosciamo.
All’epoca gli alimenti erano in assoluto i soggetti principali delle pubblicità, in queste ultime venivano poste in risalto principalmente l’immagine del prodotto stesso e le sue caratteristiche intrinseche; il passo successivo fu quello di portare nelle rappresentazioni pubblicitarie non solo le caratteristiche appena evidenziate ma comunicare anche i bisogni che il prodotto sapeva soddisfare evidenziandone i benefici derivanti dal consumo.
Il secondo cambiamento significativo che avvenne nell’ambito della pubblicizzazione del cibo si verificò nel momento in cui gli annunci vennero mandati in onda nelle varie emittenti televisive: nacquero brevi clip che vedevano persone reali come protagonisti le quali parlavano dei loro desideri contestualizzando l’uso di un determinato prodotto raccontando una storia (storytelling); ciò permise, ai prodotti meglio presentati, di divenire virali e quindi ampiamente consumati.
Ciò che rese vincente questa nuova formula di pubblicizzazione fu il fatto che non veniva rappresentato solo il cibo ma anche storie ad esso correlate e le emozioni derivanti dal consumo.
Riassumendo le tappe principali dell’evoluzione della visione del cibo possiamo individuare le seguenti:
- anni ‘60 alberghiero-chic
- anni ‘70 ritorno al cibo di casa
- anni ‘80 uber-casalingo
- anni ‘90 estetica delle briciole e nascita del foodporn
Aspetto psicologico/patologico
Molto spesso il cibo che viene pubblicizzato, soprattutto nell’ultimo decennio, non ha molte proprietà nutritive, anzi è collocabile entro la categoria del “cibo spazzatura”; chi risente maggiormente di questa pubblicizzazione così massiva di certi alimenti sono i bambini, consumatori non ancora pienamente razionali. L’abuso da parte dei bambini di certi tipi di alimenti può condurre a problematiche legate al sovrappeso e, in casi estremi, all’obesità.
Va tenuto in considerazione che, l’obesità infantile, ha una genesi multifattoriale, tendenzialmente un disagio fisico nasconde un disagio psicologico; per tale ragione è un problema di rilevanza sociale.
Nelle dinamiche familiari il cibo è il primo canale comunicativo, la prima modalità di relazione; è quindi di fondamentale importanza non solo la trasmissione culturale che avviene all’interno della famiglia stessa ma anche le problematiche di comunicazione/interazione tra genitori e figli. In merito a quanto appena evidenziato risulta essenziale che i pasti siano condivisi per permettere al giovane la consapevolezza del potere conviviale e nutriente del cibo in sé. Capita talvolta che, alcuni genitori, sovrappongano il ruolo del cibo con il ruolo della relazione; tale fenomeno sfocia in una nutrizione eccessiva e sregolata poiché l’atto di “mangiare” assume una valenza emotiva, diviene il modo per esprimere affetto o, per i familiari stessi, per sopperire al senso di colpa derivante magari dalla loro frequente assenza in casa a causa degli impegni lavorativi.
I bambini che vivono in famiglie di questo tipo capita che abbiano difficoltà a gestire le loro emozioni e riescono a trovare un modo per placarle solo con il cibo. E’ possibile individuare quindi le origini del problema in: un rapporto distorto con il cibo, in una forma di psicopatologia genitoriale, nel modeling genitoriale stesso e nel rinforzo positivo.
Va anche tenuto in considerazione l’aspetto relazionale con i coetanei del bambino con problemi di obesità; tendenzialmente è un soggetto stigmatizzato, emarginato dai coetanei, insicuro, con problemi di ansia, chiusura e conflittualità. La madre tendenzialmente è non rispondente (quindi non attenta ai suoi bisogni) oppure ha un ruolo dominante e quindi ostacola l’autonomia del figlio.
Il periodo più importante per la formazione di un individuo è la prima infanzia poiché è in quel periodo che avviene la sedimentazione delle tendenze; se in tal periodo il soggetto prende l’abitudine di fare spuntini fuori pasto (uno fra i peggiori vizi poiché tendenzialmente il cibo consumato fa parte della categoria del “cibo spazzatura”) tale tendenza probabilmente permarrà poi per tutta la vita.
I bambini obesi, nella maggior parte dei casi, hanno avuto esperienze emotive traumatizzanti e ciò ha determinato una forte dipendenza da elementi esterni che offrono sicurezza e nel contempo un miglioramento della propria autostima; i suddetti “elementi esterni” in questo caso sono identificabili con il cibo, non si potrà parlare di fame, bensì di voracità.
Le esperienze di rifiuto non fanno altro che alimentare questo circolo vizioso poiché si identificano come una minaccia all’integrità del singolo; è per tale ragione che per i bambini il fatto di essere obesi non si pone come un problema perché in tal modo sono “maggiormente visibili” quindi, occupando più spazio, riescono ad esplicitare in modo somatico un intrusività psichica che fa percepire loro un crescente bisogno di riconoscimento e apprezzamento.
E’ importante prendere in considerazione la problematica dell’obesità da un punto di vista pluridisciplinare secondo un approccio medico-psicologico che identifichi la sofferenza come una complessa unità di mente e corpo.
Al fine della “guarigione” risulta di particolare rilievo incentivare una buona comunicazione con i genitori e con i coetanei, permettere al soggetto di coltivare degli hobby e più in generale di assumersi la responsabilità della propria vita.
Aspetto educativo
Scegliere cosa mettere nel piatto lasciandosi guidare dalla pubblicità comporterebbe seguire una dieta sbilanciata poiché circa il 36% dei prodotti pubblicizzati sono dannosi. Una dieta di circa 2000 calorie basata solo sul cibo delle pubblicità comporterebbe un’assunzione di circa venticinque volte superiore alle razioni giornaliere di zucchero e venti volte per quanto riguarda il quantitativo di grassi.
Gli alimenti per bambini hanno un notevole potere d’acquisto perché oltre ad utilizzare slogan e colori accattivanti propongono di accedere al sito internet per giocare con la mascotte di quel determinato prodotto e questo fa sì che, una volta giunti al supermercato con i genitori, essi richiedano l’acquisto di un determinato prodotto solo per avere accesso ai fantomatici giochi promossi dalla pubblicità o per il semplice desiderio insorto in loro grazie alle vincenti tecniche di marketing.
Un’ulteriore problematica riguardante la scorretta alimentazioni dei bambini è rilevabile nel fatto che il 55% dei bambini di età compresa tra 8 e 10 anni e il 46% dei bambini con età compresa tra 6 e 7 anni spesso mangiano le stesse cose a pranzo e a cena; questo non permette loro di apprendere le bellezze di avere un’alimentazione ricca e varia e quindi li renderà predisposti a reiterare le medesime abitudini alimentari anche nel corso della vita adulta.
Questi sono solo alcuni dei fenomeni che contribuiscono a creare problemi di obesità, va tenuto anche in considerazione il ruolo delle pubblicità che dividono un programma pomeridiano e l’altro; queste attivano continuamente nel soggetto il bisogno di mangiare facendo sembrare una scelta personale il desiderio di avere un determinato alimento.
Nel marketing si fa ampiamente uso di messaggi imbonitori, di parole che evocano la felicità e il benessere; la seduzione all’acquisto si fonda quindi sul “divertimento” dell’ipotetico fruitore avendo come solo scopo la sua seduzione; è proprio in Italia che questa strategia risulta particolarmente valida poiché il cibo viene visto principalmente come un piacere ed è esattamente questo piacere che viene inscenato in ogni spot pubblicitario.
L’identificazione con le dinamiche inscenate nelle pubblicità, con ciò che si vorrebbe diventare, (come ad esempio: famiglie perfette o bambini gioiosi) fa sì che ciascuno interiorizzi i modelli osservati finendo per considerarli come propri quindi, per una libera associazione, l’individuo sarà portato ad acquistare determinati prodotti per sentirsi più vicino ad un modello di vita tanto agognato.
I bambini sono il target primario delle pubblicità per ragioni differenti: sono immediati consumatori, sono mediatori di consumi con gli adulti e, in fine, sono i futuri consumatori; per tale ragione è vantaggioso instillare in loro l’orientamento verso l’acquisto di certi prodotti, soprattutto per il fatto di assicurarsi acquirenti a lungo termine.
Gli spot, quindi, non sono altro che una realtà priva di regole ma ricca di convenzioni fatte di attimi felici; pongono dei termini di paragone ed è per tale ragione che negli ultimi anni sono aumentati i confronti in merito alla bellezza e alla apparenza fisica i quali non fanno altro che favorire l’insorgere, in particolar modo nelle bambine, di sentimenti di invidia reciproca e di svalutazione personale qualora determinati standard appaiano troppo distanti dal proprio essere attuale.
Conclusioni
E’ importante considerare in modo responsabile la valenza che, certi prodotti pubblicizzati, possono assumere nella vita degli individui ponendo particolare attenzione ai bambini poiché questi ultimi saranno i consumatori di domani.
Sarebbe auspicabile che, in alcune fasce orarie, ci fosse maggiore attenzione alla pubblicità trasmessa, queste ultime non dovrebbero implicare la sola vista di cibo per una duplice ragione: in primis la vista del cibo fa nascere nel bambino il desiderio di mangiare e questo potenzialmente rappresenta un’aggravante per soggetti già a rischio; in secundis la promozione di un determinato range di alimenti orienta i desideri dei soggetti, facilmente influenzabili, in una determinata direzione che tendenzialmente risulta essere poco salubre e funzionale ad uno sviluppo corporeo sano e bilanciato.
I bambini obesi di oggi non saranno altro che adulti obesi di domani quindi è di fondamentale importanza intervenire preventivamente, spezzare un circolo vizioso insalubre riportando l’attenzione alle bellezze del cibo.
Il vero ruolo del food-stylist sta andando perduto, oggi pare che non si tratti più di valorizzare un prodotto che intrinsecamente ha già un elevato potenziale (come ad esempio un piatto di pasta); l’obiettivo è rendere accattivanti cibi superflui, non necessari per un sostentamento sano, funzionali alla semplice soddisfazione delle voglie instillate nel soggetto dal marketing.
Sarebbe un successo divulgare la passione per il cibo, per le sue bellezze, consentendo a ciascuno di apprezzarne varietà e sapori; è lì che sono insite le missioni di un mestiere oramai troppo “volgarizzato”.
La differenza possiamo farla noi, mediante i nostri social, iniziando a condividere non solo ciò che comunemente osserviamo nella community, ponendo il nostro marchio personale, diventando fonti di conoscenza per gli altri in un continuo interscambio di culture alimentari poiché arricchisco nel momento in cui paleso l’ignoto all’altro e mi arricchisco quando l’ignoto si presenta a me.