TECNOLOGIA E SOSTENIBILITÀ’, UN CONNUBIO OBBLIGATORIO Il Global Ecovillage Network: 10.000 esempi di cambiamento nel mondo

Introduzione

La realtà degli eco-villaggi è una realtà spesso sconosciuta e fraintesa. Nel parlarne con le persone mi capita sovente di doverla descrivere e difendere. Molti, non sapendo di cosa si tratti, a sentirne parlare immaginano persone che vivono mangiando bacche, che dormono in capanne in qualche foresta dispersi nel nulla, magari portano i capelli lunghi e fanno uso di sostanze psicoattive, il tutto lavandosi poco. Al contrario dei luoghi comuni, stiamo parlando invece di più di 10.000 esperienze comunitarie, co-abitative, ecologiche sparse in tutto il mondo, organizzate in una grande istituzione chiamata GEN, Il Global Ecovillage Network. Questa organizzazione usa ovviamente la tecnologia per rimanere attiva, e promuove ed attua studi, ricerche, esperimenti per una tecnologia “alternativa”, ecologica e sostenibile.  Certo l’idea comune non è poi così sbagliata, visitare un eco-villaggio, per la maggior parte dei casi, significa trovarsi circondati da alberi e uscirne probabilmente sporchi di terra, ma significa anche partecipare ad una lezione di Gunter Pauli. L’uomo dei detersivi biodegradabili, Ecover, fondatore della ZERI, ideatore della Blu Economy. Per chi ne fosse interessato consiglio la lettura del suo Blue economy. Rapporto al Club di Roma. 10 anni, 100 innovazioni, 100 milioni di posti di lavoro.

Vandana Shiva è una scienziata, attivista e ambientalista indiana, vincitrice, del Right Livelihood Award nel 1993, tra le altre cose fondatrice del Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource Policy, sostenitore del GEN, avrebbe dovuto partecipare alla conferenza tenutasi in Estonia nel 2018. Un altro elemento, per provare la vicinanza che esiste tra gli eco-villaggi e la tecnologia, è la collaborazione esistente tra il GEN ed il Center for Alternative Technology, la scuola di dottorato con sede presso l’Istituto del Galles per l’educazione sostenibile.

L’ecologia, la sostenibilità, e gli eco-villaggi quindi, sono più che mai irrimediabilmente legati al mutare del mondo e conseguentemente della tecnologia. Molte di queste realtà, consapevoli dell’importanza della tecnica, non rispecchiano l’idea comune degli hippie persi in viaggi psichedelici a mangiare fiori. Gli eco-villaggi sono centri di altissima formazione, innovazione, sono spazi culturali e luoghi di sperimentazioni di vita comunitaria sbalorditivi. Esempi della possibilità di un modo alternativo di vivere, in continua ricerca di un equilibrio tra la tecnica e la natura, la vita on-line e quella interiore, la cura di una pagina web e del semenzaio.

Aspetto storico/sociologico

Robert and Diane Gilman in Ecovillages and Sustainable Communities: A Report for Gaia Trust, (Gaia Trust, 1991) illustrano la nascita del movimento, motivazioni e tappe. Gaia Trust è stata fondata in Danimarca per iniziativa di Ross e Hildur Jackson nel 1987, scopo della fondazione è quello di finanziare progetti per la creazione di una società più sostenibile, sovvenzionando varie realtà e ONG tra le quali, maggiormente, il GEN e il progetto GAIA Education. Nel 1991 i fondatori hanno constatato che «il mondo aveva bisogno di buoni esempi di ciò che significa vivere in armonia con la natura in modo sostenibile e spiritualmente soddisfacente, in una società tecnologicamente avanzata.». Gaia ha così finanziato lo studio di Robert Gilman e Diane Gilman su comunità sostenibili in tutto il mondo. La relazione, Ecovillages and Sustainable Communities, pubblicata nel 1991, ha rilevato che, sebbene vi fossero molti interessanti progetti di eco-villaggi, l’eco-villaggio ideale non esisteva. Sempre nel 1991, il Gaia Trust ha convocato in Danimarca un incontro di rappresentanti di varie esperienze coabitative ecologiche, per discutere le strategie per sviluppare ulteriormente il concetto di eco-villaggio. Ciò ha portato alla formazione del Green Ecovillage Network. Nel 1994 è stato lanciato il servizio di informazione degli eco-villaggi. Nel 1995 si è tenuta, in Scozia, la prima conferenza internazionale dei membri degli eco-villaggi, Ecovillages and Sustainable Communities for the 21st Century. Il movimento si è sviluppato rapidamente, dopo questa conferenza, nel 2001, il GEN aveva ottenuto lo status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC). Sicuramente il movimento ha radici in usanze ed esperienze molto più antiche, all’ultima conferenza GEN 2018, tenutasi in Estonia, presso Lilleoru, i partecipanti superavano le 500 persone provenienti da tutte le parti del mondo. Entusiasmante fu l’incontro con una piccola delegazione di nativi americani, portatori di conoscenze antichissime, tradizione preziose. Si crea un momento di scambio culturale impressionante e di enorme impatto sociale, la conferenza che cadeva in concomitanza dei festeggiamenti dei 100 anni dell’indipendenza Estone, viste anche le dimensioni modeste del paese, è stata pubblicizzata dalle reti televisive nazionale come evento di rilievo. Gli obiettivi del GEN sono obiettivi globali e la sua stessa costituzione ne prova l’efficacia, l’organizzazione si suddivide infatti in cinque regioni rappresentative, una per ogni continente circa: GEN Europa, GEN Africa, GEN Oceania + Asia, GEN America Latina e GEN Nord America.

Aspetto psicologico/patologico

Obiettivamente l’argomento sarebbe troppo vasto e complesso, gli eco-villaggi sono tutti molto differenti tra loro e i soggetti che li vivono di conseguenza. Mi soffermerò a descrivere brevemente alcune delle mie esperienze personali, nella maniera più oggettiva possibile. Come già fatto presente molte realtà, coscienti della necessità di “stare al passo coi tempi”, investono nella ricerca tecnologia, dallo studio di metodi per la produzione di gas dalla fermentazione di scarti alimentari, alla costruzione di edifici 100% ecologici, nell’agricoltura e via dicendo. La necessità di comunicare con realtà molto distanti fra loro, ovviamente li spinge all’uso di social network, siti web, blog e quant’altro. Se vi accingete a fare una breve ricerca troverete esempi interessanti dal punto di vista comunicativo. La stessa pagina web del GEN si presenta chiara e ricca di contenuti. I bambini che ho conosciuto, nati e vissuti all’interno di un eco-villaggio, presentano facoltà strabilianti, abili costruttori, persone solidali, spesso parlano già due, tre lingue molto bene. Non penso mai averli visti utilizzare telefoni, pc e navigare sul web, pur avendo gli strumenti a loro disposizione Tra i più grandi, giovani e meno giovani, l’uso dei social media è molto presente, ed è normale vederli attrezzati di dispositivi mobili e, almeno per quanto riguarda la mia esperienza personale, non ve n’è fatto un abuso, ma un uso direzionato e funzionale.

 

Aspetto educativo

Anche questo aspetto, come il precedente, è troppo variegato per poterlo descrivere efficacemente. Capirete bene che ogni comunità ha i suoi precetti, valori, usi ed ogni persona a sua volta. Da una mia esperienza fatta in un eco-villaggio in Galles, Lammas Project (lammas.org.uk), descriverò brevemente gli atteggiamenti dei bambini dell’eco-villaggio. I ragazzi, circa 10, in un’età compresa fra i 6 e i 13 anni, frequentavano normalmente le scuole statali a contatto coi giovani della città.  All’interno dell’eco-villaggio i dispositivi mobili erano usati e quindi potenzialmente utilizzabili, non mi è mai capitato di vedere che questi ne facessero uso, che li prendessero dal genitore per utilizzarli, come è solita fare mia sorella minore. Gli abitanti degli eco-villaggi sono comunque abitanti della campagna, spendono molte ore in lavori agresti, inoltre spesso sono impegnati anche in altre attività personali, al di là delle mansioni previste dalla vita collettiva della comunità. In aggiunta, queste, sono solite ricevere molti ospiti da tutto il mondo, i quali aiutano nei lavori in cambio di ospitalità e cibo, ma sono anche un ulteriore impegno. Visti i molteplici doveri è dunque molto difficile che venga fatto un uso massiccio del digitale se non per motivi specifici. I bambini impararono questo tipo di atteggiamento nei confronti della tecnologia, seguendo gli adulti nei lavori, sono più abituati a stare nella natura che sugli schermi.

Conclusioni

Per concludere questa riflessione sul uso della tecnologia all’interno degli eco-villaggio, vorrei ricordare un articolo di Nick Bilton, Steve Jobs was a low-tech parent, pubblicato sul The New York Times il 10 settembre 2014. Bilton faceva presente come lo stesso Steve Jobs, in un’intervista avvenuta anni prima, non abbia permesso ai suoi figli l’uso del cellulare fino ad una certa età. È indubbio che la tecnologia nasconda dei pericoli, ma i metodi educativi di Steve Jobs possono risultare ad alcuni troppo restrittivi, ad esempio, sempre nell’articolo, Dick Costolo, che è stato CEO di Twitter, espone idee differenti nell’imporre regole troppo ferree. Passare più ore davanti ad uno schermo, piuttosto che godere della bellezza e della complessità della vita e della natura, è appurato scientificamente che conduca a diverse patologie. Per quanto non si può ancora dire quali saranno le evoluzioni del mondo, in rapporto a questo nuovo legame tra uomo e tecnologia, è anche vero che i bambini degli eco-villaggi sono portatori di conoscenze estinte o a rischio di estinzione fra i bambini delle città.