Introduzione

Il fenomeno preso in esame, ossia quello degli haters, è sempre più diffuso ed allarmante. Basta dare un’occhiata ai vari social per leggere commenti ricchi di odio o per trovare gruppi creati appositamente per insultare e criticare persone più o meno famose.

Gli Internet Haters[1] (I.H.), detti haters, sono delle persone aggressive, arrabbiate, polemiche, incapaci di aprirsi al dialogo, che usano la violenza verbale per riversare parole di intolleranza e disprezzo. A volte questi “leoni da tastiera” prendono di mira diverse persone, ma più spesso si concentrano su una singola vittima disprezzandola e giudicandola in ogni sua “mossa social” con l’intento di denigrarla. Gli haters sono gli “invidiosi hi-tech” che, nascosti dietro un nickname giudicano, bocciano e insultano le vite degli altri sui social network attraverso commenti o post sgradevoli.

[1] Termine anglosassone con il quale gli esperti di comunicazione e la comunità scientifica internazionale definiscono persone che dietro un alias virtuale o reale, utilizzano le piattaforme internet per esprimere il loro odio verso altre persone, verso specifiche categorie di soggetti, verso un’idea, verso un oggetto.

Aspetto storico/sociologico

Le conversazioni violente fanno parte delle interazioni digitali fin dalle origini di internet. La massiccia penetrazione dei social media nella vita quotidiana ha rivelato un universo eterogeneo di sostenitori di atteggiamenti violenti (haters).

Gli I.H. non sono persone che possono essere classificate all’interno di un’unica categoria socio-culturale. Recenti studi e ricerche sociologiche realizzate da diverse università, hanno portato alla conclusione che gli I.H. rappresentano tutti gli strati sociali, culturali, professionali, politici, religiosi, etnici. Secondo una ricerca condotta dall’Università La Sapienza di Roma e da Vox, il principale bersaglio dell’odio via web sono le donne (vittime del 63% dei tweet negativi analizzati), seguite dagli omosessuali (10,8%), dai migranti (10%), dai diversamente abili (6,4%) e dagli ebrei (2,2%).

Aspetto psicologico/patologico

Negli ultimi anni il rapido evolversi di internet e la nascita dei social media hanno rivoluzionato il modo di comunicare, stravolgendo il concetto di interazione sociale. Questo fenomeno ha avuto e ha tuttora dei risvolti psicologici rilevanti. Da una parte molti ricercatori hanno sottolineato gli effetti benefici in termini di salute mentale, felicità, autostima. Dall’altra parte i social network hanno promosso la diffusione su larga scala di comportamenti negativi. Nel mondo online le persone tendono a dire o fare cose in modo più aperto, disinibito e intenso rispetto a come le direbbero in un’interazioni faccia a faccia (disinibizione online)[1].

Gli haters non si possono classificare all’interno di una specifica patologia psichiatrica. Recenti studi hanno rilevato che gli haters sono accomunati dallo scarso livello di tolleranza per il diverso, per lo “sconosciuto”, per ciò che ritengono minaccioso. Questa è la motivazione principale che fa nascere in questi soggetti l’odio che li porta ad utilizzare internet per distruggere virtualmente ciò che percepiscono come una potenziale e pericolosa minaccia. Molti haters si identificano, per compensare la loro fragile e vulnerabile identità, con gruppi sociali o ideologie.

[1] Suler, J. (2004). The online disinhibition effect. CyberPsychology e Behavior, 7(3), 321–325.

Aspetto educativo

In un’epoca in cui non vi è più distinzione tra on-line e off-line, ma si può parlare di on-line e on-life[1], bisogna insegnare ai bambini la cultura del rispetto e responsabilizzarli rispetto a ciò che fanno o dicono. L’educatore deve essere un testimone e una guida. Deve quindi essere riflessivo, responsabile, capace di riconoscimento e ricapacitazione. Deve costruire positivamente e criticamente il suo approccio ai social per poter essere al fianco dell’educando. I social e il web non devono essere un mondo che riguarda solo i ragazzi e quindi ignorati e criticati a priori dall’adulto, ma devono essere visti da parte dell’educatore come un punto di discussione, condivisione e incontro.

[1] Giovanni Fasoli, Educatore riflessivo. Tra on-line e on-life, Libreriauniversitaria.it, Padova, 2016.

Conclusioni

Quello degli haters è sicuramente uno dei fenomeni negativi che colpisce maggiormente i social network. È interessante a riguardo l’indagine Swg che evidenzia che il 70% dei navigatori del web aspira ad un mondo libero dall’odio e si dichiara stanco dell’ostilità che avvelena i social, il cosiddetto “hate speech”. È importante che l’educatore intervenga promuovendo un utilizzo responsabile dei social e trasmetta attraverso la sua persona l’importanza di mantenere un comportamento educato e rispettoso non solo on-life nelle relazioni faccia a faccia, ma anche on-line nelle relazioni virtuali.