Introduzione
Lo smartphone oggi può essere considerato a tutti gli effetti come un’estensione del nostro corpo; non solo per i nativi digitali ma anche per gli immigrati digitali. Queste due espressioni si sono diffuse nella lingua italiana dopo il 2001 e si rifanno al libro di Marc Prensky, Digital Natives, Digital Immigrants: A new way to look at ourselves and our Kids. La distinzione tra vita on-line e vita off-line è diventata davvero minima. Grazie alle notifiche push abbiamo la possibilità di essere sempre aggiornati in tempo reale sulle informazioni relative alle nostre app senza entrarci direttamente perché arrivano nella home del nostro telefono.
Aspetto storico/sociologico
Le notifiche sono nate storicamente su applicazioni di messaggistica o di informazione/intrattenimento e sui social media. Da diverso tempo fanno parte integrante delle funzioni di molti sistemi operativi (a cominciare dai sistemi operativi per dispositivi mobili). Le notifiche push si contrappongono alle meno efficienti notifiche pull, che a differenza delle prime vengono scaricate dall’utente tramite una richiesta inviata al server.
Aspetto psicologico/patologico
Per il nostro cervello le notifiche sono come l’oppio e creano dipendenza. Lo schermo che si illumina o il cellulare che vibra attivano gli stessi percorsi neuronali che ci avvisavano di un pericolo imminente. Però, come sostiene Erik Peper, professore di educazione alla salute presso l’Università di San Francisco, ora siamo dirottati, dagli stessi meccanismi che una volta ci proteggevano, verso le informazioni più banali. Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica NeuroRegulation rivela che gli effetti delle notifiche sono aumento d’ansia, depressione e senso di isolamento. Inoltre un’indagine condotta da un gruppo di ricercatori della Nottingham Trent University afferma che le notifiche che riceviamo ci cambiano l’umore. (Una volta su tre ce lo cambiano in peggio).
Aspetto educativo
L’educatore oggi deve saper suscitare nel ragazzo la capacità di leggere gli effetti del proprio operato(riflessività) e far in modo che egli comprenda i rischi che la vita on-line comporta (appello alla responsabilità). L’educatore non deve essere estraneo a questa società multischermo perché gli adolescenti di oggi (net generation) utilizzano la rete per costruire la propria identità. Al contrario quindi deve essere un educatore in rete, rigeneratore di legami e di nuovi stili di vita digitali.[1]
[1] Cfr. Fasoli Giovanni, Educatore riflessivo. libreriauniversitaria.it edizioni, 2016
Conclusioni
Il Professor Erik Peper afferma «Bisogna disintossicarsi. Così come possiamo metterci in dieta, possiamo allenarci ad essere meno dipendenti dai dispositivi. Prima di tutto bisogna esserne convinti e poi disattivare le notifiche, almeno di alcune app» La partita della vita si gioca on-life.