L’hikikomori è solo giapponese?

Introduzione

Il termine Hikikomori è stato formulato dallo psichiatra Saito Tamaki[1], negli anni Novanta del secolo scorso, per riferirsi al fenomeno di persone che hanno scelto una condizione di autoreclusione (se-clusione) permanente al fine di ritararsi dalla vita sociale.  Il Ministero Giapponese della Salute definisce Hikikomori gli individui che rifiutano di uscire dalla casa dei genitori, isolandosi nella propria stanza per periodi superiori ai sei mesi, con la possibilità che la permanenza in autoreclusione si prolunghi per un numero non breve di anni, in una condizione di stabile dipendenza economica dalla famiglia. Si interrompe ogni rapporto con il mondo della scuola, dell’università o del lavoro. Gli unici contatti con il “di fuori” avvengono, se avvengono, via internet, nei log, nelle chat.

[1] T. Saito, Hikikomori Kyushutsu Manyuaru, Tokyo, PHP, 2002 ( Come salvare i vostri figli da Hikikomori)

Aspetto storico/sociologico

La diffusione del fenomeno in Giappone ha avuto luogo dalla metà degli anni ottanta e a partire dal XI secolo anche nel resto del mondo.

Le cause più frequentemente addotte, come spiegazione di un comportamento Hikikomori, sono quelle sociali, come debolezza nella capacità di stringere relazione in sicurezza, perdita dell’impiego, vergogna, scarsità di motivazioni; quelle scolastiche, come bullismo, sollecitazioni competitive, fallimento negli esami, rifiuto della scuola; quelle famigliari, come pressioni per il raggiungimento di più elevati livelli di istruzione, difficoltà di relazioni, padre assente, madre iperprotettiva, e, infine, ma  molto distanziate quelle individuali legate soprattutto a problemi psicologici. Una delle caratteristiche di fondo, cui si deve fare riferimento, quando si esamina il fenomeno Hikikomori, è le forte pressione esercitata dalla società giapponese sui suoi componenti per conformarsi alle regole, e al “diverso” spesso si pone il dilemma tra sopravvivere o scomparire. [1]

[1] Carla Ricci, Hikikomori. Narrazioni da una porta chiusa, Aracne, 2009, Roma

Aspetto psicologico/patologico

Differenze a seconda dei vari Stati.

 

Le pressioni di realizzazione sociale sono molto forti in tutte le società capitalistiche economicamente sviluppate, non solo in Giappone.

 

Il contesto sociale nipponico è sicuramente uno dei più competitivi, e non è certo un caso se gli hikikomori nel Paese del Sol levante sono centinaia di migliaia, ma le caratteristiche culturali rappresentano solamente un fattore: non sono in grado, da sole, di giustificare l’esclusività di tale fenomeno.

 

Seppur con le dovute proporzioni, infatti, anche in Italia le pressioni sociali sono molto forti e ci sono tutta una serie di fattori socio-culturali che favoriscono lo sviluppo dell’hikikomori. Per esempio, il calo delle nascite e il conseguente aumento dei figli unici (particolarmente esposti a tali pressioni), oppure l’allontanamento delle nuove generazioni dalle ideologie religiose, una crisi economica che rende più difficile l’ingresso nel mondo del lavoro, nonché un’esplosione della cultura dell’immagine esasperata dalla diffusione capillare dei social network. Questo solo per citarne alcune.

 

E sono proprio le diverse fonti di pressione sociale a determinare le differenze tra gli hikikomori.

 

Per fare un esempio concreto, sembra che gli hikikomori italiani non si isolino del tutto all’interno del contesto familiare, ma conservino dei contatti, seppur conflittuali, con genitori e parenti. Gli hikikomori giapponesi, al contrario, tendono a recludersi completamente, tagliando qualsiasi tipo di rapporto, anche con i familiari.

Aspetto educativo

Per provare ad arginare questa epidemia di perfezionismo, dobbiamo ridurre la competizione sociale e le pressioni che i giovani percepiscono su di loro. Nello sport, nella scuola, nel lavoro, in ogni contesto sociale, è necessario abbassare le nostre aspettative.

Inoltre, è fondamentale ridefinire socialmente e culturalmente i concetti di “errore” e “fallimento”, oggi utilizzati quasi esclusivamente con un’accezione negativa. In che modo? Partendo dalle scuole, insegnando alle nuove generazioni a interpretarli come una sfida di crescita personale e non come un qualcosa di cui vergognarsi, oppure da evitare a tutti i costi.

 

Ci sono inoltre dei comportamenti che ci permettono di aiutare e avvicinarci alla  persona che presenta la patologia dell’Hikikomori.  I comportamenti consigliati sono: [1]

  • Riconoscere la sofferenza
  • Allentare la pressione di realizzazione sociale
  • Cercare il confronto
  • Interpretare il problema a livello sistemico
  • Responsabilizzarlo
  • Essere trasparenti
  • Spezzarne la routine
  • Focalizzarsi sul benessere

[1] http://www.hikikomoriitalia.it/2018/06/buone-prassi-hikikomori.html

Conclusioni

L’hikikomori non è un fenomeno esclusivamente giapponese, come si riteneva in principio, ma riguarda tutte le nazioni sviluppate del mondo, seppur in misura diversa e con caratteristiche differenti.

Gli hikikomori di ogni nazione avranno le proprie peculiarità, determinate, come detto, dalle differenti fonti di pressione sociale, le quali possono variare, sia in base alle caratteristiche personali, sia in base alle differenze socio-culturali.