Introduzione
Nella classifica delle azioni compiute quotidianamente dai nativi digitali, quella di taggare si trova sicuramente ai primi posti. Ma cosa esprime veramente tale azione? Molte sono le eccezioni che vengono attribuite a questa parola: letteralmente,dalla lingua oltremanica “tag” significa “etichetta, cartellino”, esattamente come quelli che si trovano sugli indumenti o oggetti in vendita in un negozio.
Aspetto storico/sociologico
Storicamente è nel gergo dei writers che nasce la tag, come nome in codice dei graffittisti, i quali la usano per distinguersi. Si dice infatti: firmare un graffito con la propria sigla (taggare un treno, un muraglione). Nella cultura hip hop è utilizzata al posto del nome e definisce non solo la persona, ma tutto lo stile e il pensiero che caratterizzata inequivocabilmente tale artista da tutti gli altri. Da qui taggare è stato inserito e sfruttato nel mondo dell’informatica, dove ha assunto una maggiore diffusione. Taggare è l’azione di marcare gli elementi di un file, ma il senso più comune è quello di segnare che in una foto, in un video o in un post è presente un utente: taggare una persona in una foto, in un album o in una news. I principali social network permettono tutto ciò aggiungendo semplicemente prima del nome il simbolo “@”; e il gioco è fatto. Fortunatamente è possibile comunque rimuovere un tag, così da togliere la vostra “etichetta” da una foto che magari vi ritrae in pose non proprio consone alla vostra reputazione. L’unico problema che rimane è l’impossibilità di eliminare l’intera fotografia. Sul web taggare però assume anche altri eccezioni lievemente differenti; poiché i tag inseriti sono, in questo caso, delle parole chiave che, associate ad altri contenuti, aiutano a indicizzare e a catalogare meglio gli argomenti all’interno di un sito web o in un motore di ricerca.
Aspetto psicologico/patologico
Durante una serata in discoteca, o di ritorno da un qualsivoglia evento, risulta ormai automatico andare alla ricerca, nella galleria dello smartphone, di quelle foto che potrebbero aumentare la propria popolarità, caricarle sui social e magari poterci anche taggare qualche amico, meglio se portatore di molti like. Questo è il pensiero e l’azione comune dei giovani di rientro da una serata. Ma cosa spinge un nativo digitale, in tarda notte, a trascorrere altro tempo sui mondi virtuali a pubblicare foto e tag? Forse una costante sete di notifiche e di apprezzamenti sembra il vero obiettivo delle generazioni 2.0, che sono sempre intente nella ricerca della propria identità non più definita dai genitori ma dai coetanei, dalle relazioni universali.
Aspetto educativo
Taggare per essere taggati, risulta così l’unico mezzo conosciuto dalla swich generation per sentirsi accettati e facenti parte di una realtà. In questa lettura predomina nel ragazzo la costante attesa di un commento da parte dell’altro, che gli confermi di essere ancora on-life. Possiamo affermare che il tag è il nuovo strumento per “chiamare” l’altro e invitarlo a reagire. Così come è portato a fare l’educatore riflessivo [oltre il] 2.0, il quale non etichetta il ragazzo ma lo chiama, lo riconosce come individuo portatore di capacità e di potenzialità che devono essere valorizzate al massimo. Con una semplice @ attiro l’attenzione della persona etichettata e la informo che l’ho guardata, pensata e che fa parte della mia vita, con la speranza forse di essere ricambiato.
Conclusioni
Quante volte proviamo piacere e curiosità nel leggere la notifica “…ti ha taggato in una foto”? Quante volte chiediamo all’altro di taggarci in una foto che ci ritrae ospiti a qualche evento? Come se dovessimo dimostrare a tutti: chi siamo e cosa facciamo della nostra vita, ma la vera necessità e di sentirsi on-life.